
Nel paesaggio dell’Appennino umbro- marchigiano le montagne ci appaiono come punti di riferimento immutabili.
Eppure, un tempo il paesaggio e l’ambiente circostante erano totalmente diversi dall’attuale e solo incessanti processi geologici hanno dato origine alla catena appenninica.

La litogenesi ha formato le rocce. L’orogenesi ha piegato e sollevato la massa rocciosa. La morfogenesi ha modellato il rilievo, fino all’aspetto attuale.
Ma per raccontare questa storia e soprattutto per raccogliere i dati e gli indizi che ci possono aiutare nel comprendere la storia di un luogo serve tantissimo lavoro di campagna.
L’area degli altopiani plestini costituisce una zona di particolare interesse dal punto di vista geologico per la presenza di affioramenti rocciosi e strutture geologiche di interesse regionale oltre al rinvenimento di resti paleontologici. Infatti i primi interessi nello studio degli affioramenti rocciosi devono essere: 1) capire la composizione della roccia e la sua natura 2) inquadrarne l’origine cioè stabilirne in quale tipo di ambiente si è depositato il sedimento originario e quali azioni abbiano subito successivamente.
I Monti che delimitano l’area degli altopiani sono costituiti da rocce che permettono di ricostruire l’evoluzione geologica nelle sue fasi più antiche.

Le montagne, infatti, sono composte da rocce sedimentarie formatesi a partire dal Giurassico inferiore (circa 200 milioni di anni fa) sul fondo di un antico mare chiamato Tetide, che separava la placca africana (posizionata a sud-ovest) da quella euro asiatica (a nord est). Gli strati rocciosi che si sovrappongono in maniera più o meno regolare, sono formati soprattutto da calcari e marni, con alcuni intervalli che contengono argilla e silice. Questi strati si sono originati per compattazione e cementazione dei sedimenti deposti nel corso dei milioni di anni. In origine questi strati avevano una giacitura per lo più orizzontale ma a causa della compressione subita durante l’orogenesi del nostro Appennino si sono piegati, fratturati e dislocati. Anche la fase tettonica distensiva successive al sollevamento ha contribuito alla struttura attuale delle montagne. Nell’area di Colfiorito, infatti, abbiamo un paesaggio caratterizzato da altopiani che si sono originati per azione combinata di tettonica (dovuta ai movimenti della crosta terrestre) e fenomeni carsici.
Il primo fattore ha originato blocchi rialzati ed aree ribassate che successivamente sono luogo di sedimentazione dei materiali trasportati per erosione. Il secondo fattore è legato alla natura calcarea delle rocce sulle quali agisce l’azione chimica dell’acqua.
Vista la particolare conformazione di quest’ area, il deflusso superficiale e lo spartiacque tra versante adriatico (Fiume Chienti) e tirrenico (Fiume Menotre e Fiume Vigi) sono poco definiti. Il deflusso superficiale si presenta irregolare, poco sviluppato nell’area degli altopiani dove è spesso fortemente condizionato da opere di regimazione idraulica. Sono presenti anche valli chiuse, aree intensamente fratturate ed estesi fenomeni carsici superficiali (inghiottitoi e doline).
Nei materiali che si sono depositati negli altopiani, in particolare nell’altopiano di Collecurti e di Cesi a partire dalla seconda metà degli anni 80 sono state individuate delle sequenze sedimentarie di origine fluvio – lacustre che hanno restituito numerosi resti fossili di vertebrati databili rispettivamente a circa 900000 e 700.000 anni fa, cioè nel periodo Galeriano del Pleistocene inferiore.
Le ricerche ebbero inizio a Colle Curti nel 1987, quando alcuni ricercatori dei Dipartimenti di Scienze della Terra e dei Musei di Storia Naturale dell’Università di Firenze e di Camerino, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica delle Marche, scoprirono alcuni resti in superficie. Nel 1993 le indagini di scavo sono proseguite nell’altopiano di Cesi.
I lavori scientifici e di studio successivi ( studi di palinologia – ovvero studio dei pollini rinvenuti nei sedimento e studi di paleomagnetismo ) hanno dimostrato che il sito di Colle Curti è più antico di quello di Cesi e che i due siti testimoniamo due situazioni risalenti a 900000 anni fa (Colle Curti) e 700000 anni fa (Cesi).
A Colle Curti sono stati trovati resti di
- Ippopotamo (Hippopotamus antiquus) che l’animale di cui sono stati ritrovati. è molto simile all’ippopotamo attuale (Hippopotamus amphibius): sono stati rinvenuti 5 adulti e 3 giovani. L’ippopotamo doveva popolare gli specchi d’acqua con una grande quantità di individui.
- Mammuthus meridionalis: raggiunge l’Europa verso i due milioni e mezzo di anni fa e possedeva una volta cranica molto sviluppata differentemente dall ‘attuale elefante africano e zanne molto ricurve. Gli ultimi rappresentanti di questo genere avevano raggiunto dimensioni ragguardevoli: un maschio adulto poteva raggiungere i 4 m di altezza
- cervide di media taglia (Axis nestii evoluto) imparentato con il daino attuale pur non essendo un suo antenato diretto che ci testimoniano discese Europa di animali adattati al clima relativamente più freddi.
- Cervide di grande taglia – Praemegaceros verticornis che indica l’inizio del Galeriano ( periodo compreso fra 1,0 – 0,37 milioni di anni)
- cane di taglia minore simile agli attuali sciacalli
- cane dalla struttura più robusta simile a quella di un lupo
- un orso di più piccola taglia rispetto all’orso Bruno attuale: il suo ritrovamento suggerisce la presenza di boschi intorno all’antico a bacino lacustre.
- ienidi
- roditori
- antilope: immigrato in Europa in seguito al sensibile raffreddamento climatico verificatosi 2,5 milioni di anni fa.
La presenza di roditori e cervi di grande taglia di specifiche tipologie indicano età di circa 900.000 anni.
Il sito di Colle Curti è caratterizzato da una straordinaria quantità esemplari ottimamente conservati di ippopotamo e subordinatamente di cervidi. L’associazione di mammiferi suggerisce un clima umido con temperature invernali non rigide.
Il bacino di Cesi invece è costituito da una successione sedimentaria meno spessa ma anch’essa di ambiente lacustre. Il livello fossilifero ha restituito un’associazione a elefanti (Elephas antiquus) rinoceronti (Stephanorhinus hundscheimensis), Equidi (Equus), ippopotami ( Hippopotamus antiquus), daini (Dama clatoniana), cervi (Praemegaceros sp.) , bisonti (Bison schoetensacki) ed una tigre dai denti a sciabola (Homotherium sp.) . L’associazione è più giovane di quella di Colle Curti e può essere datata circa 700.000 anni fa con condizioni climatiche umide ma non molto fredde vista la presenza di ippopotamo e daino.
Grazie al ritrovamento di questi reperti ed agli studi effettuati dal punto di vista geologico e stratigrafico sugli altopiani oggi è possibile avere un quadro evolutivo anche climatico dell’ultimo milione di anni. È difficile immaginare che un milione di anni fa la flora e la fauna erano totalmente diverse dall’attuale e che avremmo potuto incontrare bisonti, elefanti, ippopotami, antilopi ed altri animali tipici di un’ambiente con clima umido e temperature invernali non rigide. Tuttavia questo ci dimostra come il nostro pianeta sia in continua evoluzione e cambiamento e che anche studiando il passato, oltre che ad un viaggio nel tempo possiamo fare un viaggio virtuale con habitat e ambienti totalmente diversi da oggi.
Per esporre il materiale rinvenuto durante le diverse campagne di scavo nel 2005 è stato istituito il Mu.P.A. (Museo Paleontologico Archeologico) a Serravalle di Chienti. Nato come laboratorio di restauro dei fossili di Cesi e Colle Curti, oggi il Mu.P.A. espone i reperti rinvenuti durante le ultime campagne di scavo oltre che ad un’importante collezione di molluschi fossili, in particolare ammoniti, provenienti dall’Appennino umbro marchigiano.